venerdì 23 marzo 2012

Il credo per le relazioni...



Un piccolo testo per riflettere durante il week end...


"Tu ed io abbiamo un rapporto cui tengo e che desidero preservare. Ma ognuno di noi è una persona a sé stante che ha i propri bisogni particolari e il diritto di soddisfarli.
Quando sarai tu a trovarti in difficoltà, presterò ascolto con sincera accettazione per aiutarti ad escogitare le tue soluzioni. Rispetterò inoltre il tuo diritto ad avere le tue convinzioni e a perseguire i tuoi valori, per quanto possano essere diversi dai miei.
Tuttavia, se il tuo comportamento interferirà con il soddisfacimento dei miei bisogni, ti riferirò apertamente e onestamente in cosa mi condiziona, confidando che il rispetto dei miei bisogni e sentimenti, ti spinga a cercare di cambiare quel comportamento che per me è inaccettabile. Inoltre, se un mio comportamento sarà inaccettabile per te, desidero che tu me lo dica apertamente e onestamente in modo che io possa provare a cambiarlo.
Quando saremo in conflitto, ci impegneremo a risolvere ciascun conflitto senza che nessuno di noi due tenti di vincere a spese dell’altro. Io rispetto il tuo diritto a soddisfare i tuoi bisogni, ma devo anche rispettare il mio medesimo diritto. Sforziamoci perciò di cercare sempre soluzioni accettabili per entrambi. I tuoi bisogni saranno soddisfatti quanto i miei. Nessuno perderà. Entrambi vinceremo.
La nostra potrà dunque essere una relazione sana in cui potremo entrambi adoperarci per realizzare le nostre potenzialità. Potremo così continuare a rapportarci animati da reciproco rispetto, amore e pace." (Gordon)

 Non pensate solamente che questo credo sia valido per le relazioni tra adulti, 
vi propongo di rileggerlo  pensando anche ai bambini...


 Maria Lo Bianco
Psicoterapeuta

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lunedì 19 marzo 2012

Per i nuovi padri...

Nel corso degli ultimi decenni della storia umana, sociale e psicologica, della nostra epoca molte cose sono profondamente cambiate.
Dal punto di vista sociale i notevoli cambiamenti del dopoguerra hanno profondamente inciso sul ruolo del padre e sulla relazione duale verso la moglie e verso i figli. Dal padre normativo, in una cultura patriarcale, fonte delle regole e dell’autorità, ci si muove verso un padre affettivo, che nella relazione emotiva con il figlio ha il punto di contatto più importante.
 I nuovi padri sono teneri e sensibili, cambiano i pannolini, danno il biberon, preparano la pappa, vestono i bambini alternandosi alle mamme, riproducendo in tutto e per tutto una funzione che, nel corso della storia è stata quasi unicamente della donna.



I nuovi padri si stanno rivelando non solo perfettamente in grado di svolgere le funzioni materne primarie, ma anche di trarne un profondo, intimo appagamento. I nuovi padri hanno imparato il mestiere non imitando il loro padre ma cercando di capire i bisogni del figlio. Ma cosa è davvero cambiato in questo nuovo modo di essere padri? Forse la dimensione interna della paternità?




Concludo con un passo tratto dal libro "Il gesto di Ettore".
Il titolo si riferisce a un momento dell’Iliade in cui Ettore va ad abbracciare la moglie Andromaca e il figlio Astianatte sulle mura di Troia prima della battaglia fatale con Achille. Nel momento in cui Ettore si volge verso il figlio per prenderlo dalle braccia della madre questi scoppia a piangere. Ettore si accorge che a spaventarlo è l’elmo che indossa e lo toglie. È in questo gesto la novità: Ettore si mostra infatti al figlio come essere fragile, e la corazza assume un valore fortemente simbolico di indumento che mentre protegge chiude. Togliersi la corazza significa metaforicamente aprirsi alla relazione.
«Da una parte, la rinuncia all’armatura di Ettore può rendere il padre davvero superfluo, in quanto indiscriminatamente simile alla madre. Dall’altra, i fatti ci dicono che in questi casi il figlio cerca altre figure maschili, ancora dotate di armi… la specificità paterna sta proprio in questo. Egli può essere con il figlio quando sa anche stare con l’armatura, può essere padre quando è anche guerriero. Diversamente dalla madre, non può fare solo una delle due cose: se lo vede solo con le armi, il figlio non lo riconosce; se non lo vede mai con le armi, non lo riconosce come padre […] La società ha deciso di spogliare Ettore perché non spaventi il bambino. Quest’ultimo non avrà più paura… ma avrà ancora un padre?» (Zoja, 2007).

TANTI AUGURI PAPA'


Maria Lo Bianco
Psicologa-Psicoterapeuta

venerdì 16 marzo 2012

PSICOMOTRICITA’ PER BAMBINI E GENITORI

Un esperimento o uno stile di vita?
L’istituto Loczy, che dal 1986 porta il nome del suo fondatore Emmi Pikler, è dal 1946 una casa infantile per bambini da zero a tre anni senza famiglia presso la città Budapest in Ungheria.
Questo stabilimento pubblico è citato frequentemente nella letteratura come il “modello Loczy” per le sue concezioni pedagogiche, per la sua organizzazione interna e il suo funzionamento.
Emmi  Pikler fece i suoi studi di Pediatria a Vienna ed ebbe come suoi maestri due grandi studiosi il professor Pirquet e il professor Valzer ed i suoi anni trascorsi lavorando e studiando insieme a loro, presso l’Ospedale Mauthner Markhof, determinarono in lei  uno stile diverso di affrontare la pediatria.
Lei aveva come principio fondamentale la concezione della prevenzione come  metodo di profilassi e come strumento  per condurre ad uno sviluppo armonico del bambino.
E. Pikler, durante suoi anni di lavoro presso l’area di chirurgia dell’Ospedale, è attratta dalle statistiche degli incidenti accaduti ai bambini.
Si accorge che gli incidenti accaduti nel borgo operaio dove i bambini giocano e corrono sulle strade e si arrampicano sugli alberi hanno un’incidenza percentuale, in termini di fratture e commozioni, inferiore a quelli accaduti in altri posti più sicuri e controllati.
Evidenzia che nei borghi più eleganti della città, gli incidenti ai bambini delle famiglie benestanti, cresciuti in un clima di disciplina e d’estrema protezione, accadono all’interno delle  case o durante le passeggiate.
E. Pikler è convinta che un bambino libero di  muoversi  senza restrizioni, è un bambino più prudente e in grado di capire quali sono i potenziali pericoli e soprattutto in grado di gestire meglio  i movimenti del proprio corpo (come per esempio in una caduta a terra).

Al contrario evidenzia come il bambino sovraprotetto e “obbligato” a stare fermo, mancando d’esperienza  e non conoscendo le proprie capacità e  limitazioni, rischia, nel momento in cui viene meno la protezione, ad essere vittima di un incidente.
E. Pikler dubita che il lattante, per conquistare, mantenere, cambiare,  abbandonare una postura del corpo; imparare spostarsi, imparare a stare in piede e camminare abbia bisogno dell’intervento dell’adulto, dei suoi esercizi, delle sue istruzioni.
Dubita che un essere passivo diventi attivo sotto l’azione dell’adulto; dubita che quest’intervento possa accelerare lo sviluppo del lattante e anche se questo fosse vero  significhi un vantaggio per il suo sviluppo.
Sicura dell’ipotesi che il bambino, a seconda dal suo ritmo e suoi tentativi,  è capace di imparare meglio a sedersi, alzarsi, camminare, giocare, parlare, rispetto al bambino che viene direttamente influenzato dall’adulto per raggiungere i diversi gradi di sviluppo, decide di accompagnare i genitori, dei bimbi che assisteva, nell’ “esperimento” di confermare la sua ipotesi.  Assiste le famiglie come pediatra e fornisce ai genitori, in base alle sue permanenti osservazioni, numerosi dettagliati consigli.
Lungo la crescita del bambino, i genitori imparano ad avere fiducia nella capacità di sviluppo del proprio figlio.
Questi consigli spiegano come si possano creare e trasformare delle condizioni materiali ed emozionali affinché, delle attività sempre più varie per iniziativa del bimbo, possano svilupparsi senza la necessità d’intervento dell’adulto.
In funzione delle necessità del bimbo, insieme, individuavano accuratamente uno stile di vita tranquillo ed equilibrato, nel rispetto del ritmo del sonno e della veglia, stabilendo un regime alimentare equilibrato e  semplice, adatto all’appetito del bimbo.
Determinano la durata, più lunga possibile, del periodo che il bambino trascorre nell’area libera (sia  nella stagione estiva sia in quell’invernale).
Non intervengono per correggere i suoi movimenti e i suoi giochi, non gli insegnano niente, non gli fanno fare esercizi, ma gli assicurano uno spazio dedicato per potersi muovere liberamente anche negli appartamenti più piccoli.
Le migliori occasioni per stare insieme ai genitori sono offerte nel momento dei pasti, del cambio dei pannolini, della doccia, del vestire.
Durante tutte queste attività, i genitori non vivono in modo frenetico, prendono in considerazione le reazioni e le necessità del bambino, la sua partecipazione, rallentano la propria attività, godono insieme tutto quello che dividono con lui.
Emmi Pikler riesce a comprovare che i bimbi sono generalmente gioiosi, curiosi, vivaci e attivi, che si sviluppano armoniosamente.
Sebbene il sistema d’educazione proposto per E. Pikler esige dai genitori un’organizzazione più curata della vita e di tutto quello che sta intorno, i genitori accettano e portano avanti i suoi consigli in modo che alla fine il proprio figlio si senta lui stesso in sicurezza.
I genitori sono convinti che i propri figli hanno acquistato importanti esperienze durante le attività svolte in modo indipendente, senza il loro intervento. I genitori non credono che per considerarsi buoni genitori si debba stare sempre vicino al bambino con l’obbligo di fare qualcosa insieme a lui per tutto il tempo.
I bimbi, occupati per le attività ed esperienze indipendenti, non esigono la presenza diretta, permanente, la partecipazione o l’aiuto continuo dei genitori, giacché senza loro non si sentono impotenti. I genitori, vedono l’attività serena ed indipendente del loro figlio e consapevoli del valore che questo acquista, possono occuparsi dei suoi bisogni.
Non si sentono schiavi del loro figlio e nemmeno lo considerano come  un giocatolo. 
Questo sistema d’educazione che E. P. ha sviluppato con i genitori, riesce ad implementarlo nell’istituto Loczy. E’ convinta che è possibile creare all’interno di un’istituzione le condizione appropriate in cui i lattanti e i bambini si possono sviluppare  favorevolmente, dal punto di vista fisico e psichico, cioè sani, senza disturbi emozionali o psichici e preparati per inserirsi nel mondo di una famiglia.
E così che mediante questo sistema d’educazione, basato  sui principi e metodi esaustivi, sui dettagli, ha potuto fare di questo istituto “il modello Loczy”.
Quest’istituto ancora funziona come casa infantile, e ancora continua ad essere un modello per altre istituzioni, e perché no un modello per la famiglia, per genitori con voglia di allevare figli indipendenti; perché c’è un’idea fondamentale che non possiamo dimenticare, ed è che quest’istituto partì dalla famiglia e dall’educazione in famiglia.
E come conclusione c’è una piccola domanda aperta:
Noi, come genitori, siamo disposti a rivalutare, ripensare, o modificare il nostro sistema d’educazione coi nostri figli?
Propongo come risposta, di cominciare a farlo com’esperimento, un po’ alla volta, per arrivare a quello che sarebbe il massimo, in altre parole di farlo come stile di vita.
Quindi se siamo disposti, se abbiamo la disponibilità di rifletterci un attimo, abbiamo già cominciato l’inizio di un cambio. Adesso manca solo percorrerlo.

Articolo tradotto dalla Rivista LA HAMACA, “Loczy y su Historia” Judit Falk.
Immagini prese dal libro Datemi Tempo. Emmi Pikler. Posture e posizioni dello sviluppo motorio del bambino.



Karina Calegari
Psicomotricista




domenica 11 marzo 2012

Nasce La Ghianda...

L’Associazione Culturale “La Ghianda” nasce il 5 marzo del 2011,
da un’idea della Dott.ssa Maria LO BIANCO
(Psicologa, Psicoterapeuta dell’età evolutiva)
 e della Psmta Karina CALEGARI
(Psicomotricista in area educativa, preventiva e di aiuto),
due professioniste provenienti da un’impostazione psicopedagogica convergente in un unico sguardo multidisciplinare.


 Perchè La Ghianda?


J. Hillman, pensatore e analista junghiano,
propone, negli anni settanta, la “Teoria della ghianda”:
la Ghianda, al cui interno è racchiusa la vocazione, la motivazione a diventare quell’unica e splendida quercia che cercherà di essere.
Hillman sostiene che ogni persona ha in sé un’unicità e irripetibilità,
 un carattere che chiede costantemente di essere vissuto,
una vocazione ad essere quell’unico e irripetibile individuo,
ad essere la quercia alta e frondosa,
o bassa e massiccia che la ghianda  ha scelto,
in un tempo fuori dal tempo.



L’Associazione “La Ghianda” propone, quindi, un metodo interdisciplinare dove la clinica, l’educativo e la prevenzione trovano un punto in comune e per tale motivo si prefigge i seguenti scopi:
                    Creazione di uno spazio e di un tempo appositi per aiutare bambini e adulti
                           a vivere più serenamente nella ricerca dell’equilibrio tra i propri bisogni e
                           richieste dell’ambiente, tra realtà interiore e adattamento esterno.


 Creazione della cultura della relazione, della comunicazione e dello stare bene con un particolare modo di concepire il bambino: essere globale, unità somato-psichica.
 
Lavoro sul mondo intrapsichico infantile, sulle produzioni simboliche e sulle loro trasformazioni, lavoro che va a costituire il punto di integrazione indispensabile tra processi intra e inter-soggettivi. Il bambino, infatti, è visto come punto d'incontro tra aspetti organici e psichici, tra elementi individuali e interpersonali, tra conoscenza del reale e vissuto fantasmatico.


 Particolare attenzione alle dinamiche familiari giacché la presa in carico dei genitori costituisce parte integrante del lavoro con i bambini. La contestualizzazione del disagio e della patologia richiede, infatti, un attento esame delle relazioni con le figure genitoriali e la terapia necessita della capacità di stabilire una doppia alleanza per consentire un cambiamento di tutti i partecipanti. Il bambino è al centro di reti di relazioni tra adulti che richiedono allo psicoterapeuta e allo psicomotricista la capacità di cogliere i diversi vertici di ascolto, per restituire la complessità della situazione e articolare un progetto di prevenzione o terapeutico.


"Il futuro di ogni quercia è nascosto in ogni ghianda" J.Hillman